Nell’aprile di cinquant’anni fa veniva assegnata la targa TO A-00000 che voleva dire un milione di vetture. Il fatto che ciò fosse avvenuto nell’allora capitale italiana dell’auto dice poco se pensiamo all’Italia degli anni Sessanta e alla coda di un boom economico, che ancora non aveva perduto la sua spinta quando nessuno era in grado di immaginare lo shock petrolifero del 1973 innescato dalla guerra del Kippur.
Ma rileggendo attentamente quell’evento ci si accorge che esso segnala un cambiamento che allora sembrava -ed era- una normale evoluzione economica e sociale e solo in seguito sarebbe diventato altro. Un “altro” dalle tante facce come la scarsa risposta italiana al bisogno di andare verso una motorizzazione pulita e sostenibile e la conseguente e progressiva messa sotto accusa dell’automobile da parte di forze politiche incapaci di proporre alternative che non siano quelle della bicicletta nell’era dei droni.
Sarebbe facile ricordare che l’industria dell’auto è uno dei principali contribuenti del pil italiano, dà lavoro a qualche centinaio di migliaia di occupati, assicura una mobilità possibile in un paese nel quale ci sono territori più o meno vasti non serviti o malamente serviti da mezzi pubblici di trasporto. Ma sono cose che si sanno da decenni e non per questo il problema dell’automobile è stato affrontato come si dovrebbe piuttosto che essere lasciato come arma di ricatto di chi non ha altro strumento o non se ne sa dare uno che non sia quello del pollice verso magari per un pugno di voti ottenuti o che si spera di ottenere. Accade nella città che mezzo secolo fa registrò quella targa da un milione e oggi sembra in confusione di fronte al problema dell’inquinamento atmosferico che esiste realmente ma che non è risolvibile affidandosi, come sta succedendo da oltre tre mesi al “mago della pioggia”.
Certo è una questione nazionale ma è in una città come Torino che la non soluzione mostra impietosamente la scarsa capacità di stare al passo con i tempi. Perché qui oltre a questa incapacità si va imponendo anche l’assurda pretesa di chi è convinto e vuole convincere che l’auto non è una risorsa ma un castigo del cielo. Un fenomeno, questo, che è diventato una moda luddista di chi è portato a confondere la strada maestra con la scorciatoia per dire uno spot che in periodi preelettorali tende ad essere praticato in modo quasi trasversale dalle forze politiche.
di Salvatore Tropea